Cos'è
La Leggenda del "Vino della Fede"
Nelle campagne rigogliose che circondano il Castello del Balzo, dove un tempo sorgeva un fitto bosco da cui il nome "Casa Luci", i contadini narravano una leggenda antica quanto le mura del maniero stesso. Si diceva che l'uva coltivata in queste terre avesse un sapore e una forza unici, un dono divino che risaliva a tempi immemorabili.
La storia narra che, quando il castello fu eretto da Rainulfo Drengot intorno al 1060, le vigne intorno alle sue mura sembravano aride e sterili. I primi raccolti erano miseri e il vino che se ne ricavava era amaro e aspro, riflettendo le fatiche e le asprezze della vita feudale. I signori del castello, i prodi Normanni, si lamentavano per la scarsa qualità dei loro banchetti.
Fu allora che giunsero i monaci celestini, portando con sé la venerata Icona della Madonna di Casaluce, dipinta da San Luca. La leggenda vuole che non solo la Madonna abbia benedetto la comunità, ma che abbia anche guardato con compassione le vigne riarse. Durante una notte di veglia, uno dei monaci sognò la Vergine, che gli indicò di prendere le due sacre idrie di alabastro, le stesse che avevano ospitato l'acqua trasformata in vino a Cana di Galilea. Al mattino, il monaco fece come aveva sognato: riempì le idrie con acqua pura, e la benedisse ai piedi dell'altare dove era custodita l'Icona. Poi, con l'aiuto dei contadini, spruzzò quell'acqua santa sulle radici delle viti più vecchie.
Miracolosamente, nel giro di poche settimane, le vigne si ricoprirono di grappoli rigogliosi e di un'uva così dolce e succosa come mai si era vista. Al momento della vendemmia, il vino che ne fu ricavato era di un colore rubino intenso e di un sapore sublime, capace di ristorare il corpo e l'anima. Da quel momento in poi, ogni anno, la festa della vendemmia non fu più solo un rito contadino, ma divenne una solenne celebrazione in onore della Madonna di Casaluce.
I contadini e i monaci portavano i primi grappoli al Castello, ormai trasformato in Abbazia, e li deponevano ai piedi dell'Icona, recitando preghiere di ringraziamento. Si beveva il nuovo vino in segno di comunione e fede, e lo si offriva in segno di gratitudine per il miracolo che si ripeteva. Si credeva che quel vino non fosse un semplice prodotto della terra, ma un "vino della fede", un simbolo della benedizione divina che proteggeva il castello, la comunità e i loro frutti più preziosi.
Ancora oggi, in quella che un tempo era la grande corte del castello, si narra questa storia, unendo il lavoro della terra, la storia del maniero e la devozione profonda che da secoli caratterizza il popolo di Casaluce.